"Oh, ma chi l'ha inventata 'sta storia della questione generazionale?".
Sembrerebbe un'affermazione stizzita di Bersani e invece sono io, nel mio piccolissimo, a chiedermi perché una questione cruciale per il nostro Paese venga ridotta a uno scambio di improperi tra il Segretario del PD e Renzi. Dove il primo non ammette che si "scalci" e il secondo, da provetto Harry Potter della comunicazione, rifiuta a gran voce di essere accostato ad un asino, ergendosi ad agnello sacrificale della domenica (vi ricorda nessuno?).
In questo cortocircuito che mi auguro interessi a pochi, la cosa che più mi irrita è la banalizzazione della posta in gioco da qui a vent'anni.
All'interno del Paese non è ancora chiaro se i figli debbano ringraziare i genitori perché in un momento di crisi profonda riescono ancora a garantire loro la sopravvivenza o se invece sulla generazione dei padri pende una grave responsabilità per aver accresciuto a dismisura il debito pubblico, non sulla base di percorsi condivisi di sviluppo (quali politiche industriali?) ma sulla logica funesta del consenso (quale classe dirigente?).
Personalmente propendo per la seconda ipotesi, e non per un motivo puramente anagrafico.
Nella commedia tardo-berlusconiana, l'Italia continua a recitare la parte dello struzzo.
Sarebbe di sollievo ammettere pubblicamente che si è navigato a vista sulle debolezze degli italiani, che si è spesso cercato di tappare i buchi laddove iniziavano a manifestarsi le prime pesanti perdite e se oggi non sappiamo più come crescere faremmo meglio a smetterla di dare la colpa all'euro e alla globalizzazione e a chissà quale altra disgrazia che invade i nostri sacri confini nazionali. Colpa dei cinesi, dicono. Ma i cinesi eravamo noi, fino a qualche anno fa, quando svalutavamo la lira per riuscire a vendere i nostri prodotti sul mercato europeo, utilizzando come unica leva il prezzo!
E allora, la questione generazionale non è propriamente quella bersaniana secondo cui bisogna stare calmi e aspettare il proprio turno (che di questi tempi vuol dire aspettare che la casa crolli per scavare tra le macerie) e nemmeno quella che propone Renzi (e su cui ci sta costruendo una carriera politica, come riporta brillantemente Popolino) dove il nuovo è automaticamente migliore di quello che c'è già. E perché mai?
La questione generazionale deve necessariamente intrecciarsi al concetto cardine di meritocrazia, dando il benservito, anche a costo del conflitto, a chi non è più in grado di recitare un ruolo all'altezza del riscatto di questo Paese e giocare una partita complessa e ineludibile assieme a chi ha idee e energie da mettere a disposizione.
Ecco, prima ancora di parlare delle ricette e di mettere il cuoco alla prova, sarebbe il caso di stabilire gli ingredienti di cui abbiamo maledettamente bisogno.
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